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Il gioco d'azzardo cinese con l'incontrollabile Kim ora fa tremare l'America

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Il gioco d'azzardo cinese con l'incontrollabile Kim ora fa tremare l'America

DAL NOSTRO INVIATO

PECHINO.

Il test nucleare nordcoreano è avvenuto mentre Barack Obama era ancora in volo sull'Air Force One, di rientro in patria dopo due summit in Estremo Oriente. Per la scelta dei tempi è una provocazione. Per la potenza presunta degli ordigni, e l'intenzione proclamata di montarli su missili di lunga gittata, è molto di più. È una sfida al sistema di alleanze che fa perno sull'America e ha garantito stabilità in quell'area del mondo; è una minaccia all'ombrello protettivo che gli Usa garantiscono ai propri alleati come il Giappone e la Corea del Sud; il pericolo lambisce potenzialmente gli stessi territori americani come Guam nel Pacifico, un giorno forse le Hawaii, l'Alaska o la California. Nulla si può veramente escludere nell'escalation di Pyongyang. E ammesso che in futuro possa aprirsi una via d'uscita, la chiave passa dalla Cina, il che complica molto le cose. Continuare a prendere per buona la linea ufficiale della leadership comunista cinese — che condanna i test, appoggia le sanzioni Onu, e appare infastidita o imbarazzata da Kim Jong-un — ormai è un'evidente ingenuità. Gli americani lo sanno, ma sono a corto di alternative, costretti a sperare che i buoni uffici di Pechino un giorno disinneschino questo focolaio di conflitto nucleare a due ore di volo da Piazza Tienanmen.

Nessuno arriva a pensare, a Washington o nelle capitali alleate Tokyo e Seul, che Kim sia un burattino manovrato dai cinesi. Già suo nonno fu un maestro nell'arte di giostrarsi fra alleanze rivali nel campo comunista (all'epoca Urss e Cina) pur di mantenere un certo livello di autonomia. Alla terza generazione di questa "monarchia rossa" che regna sulla Corea del Nord col terrore, il livello di follia (in senso psichiatrico) è aumentato, ma una certa astuzia è rimasta. I tentativi cinesi d'infiltrare uomini fidati nell'esercito nordcoreano sono stati spesso sventati con purghe sanguinose. Al tempo stesso il gioco del terzo Kim si è fatto ancora più imprevedibile e indecifrabile. Ai tempi di suo padre alcune Amministrazioni Usa riuscirono a "comprare tempo": il programma nucleare di Pyongyang veniva rallentato quando da Washington affluivano soldi, aiuti, caute aperture, gesti di parziale riconoscimento ad appagare una dittatura affamata di status. Ora gli americani non ritengono più di avere a che fare con il vecchio tipo di ricatto. Il timore è che la Corea del Nord stia davvero puntando su scenari di guerra, che voglia portare il bluff ben oltre i limiti di rottura.

La Cina non "controlla" Kim, e tuttavia lo mantiene in vita. L'economia nordcoreana sarebbe definitivamente crollata da molto tempo se il confine cinese non fosse ben più poroso di quanto faccia credere l'adesione formale di Pechino alle sanzioni Onu. Di recente la nomenclatura nordcoreana ha goduto di un afflusso di nuovi beni di consumo, automobili, vari lussi che hanno reso Pyongyang un po' meno lugubre che in passato. Tutto, o quasi, arriva attraverso la frontiera cinese.

Decifrare la strategia di Xi Jinping quindi è essenziale per Washington. In passato la chiave di lettura era relativamente semplice. Ai tempi di Jiang Zemin e Hu Jintao, i leader cinesi erano sinceramente irritati dai nordcoreani, ogni tanto li sgridavano come dei parenti scapestrati, ma li proteggevano perché costretti a scegliere il male minore. Lo scenario alternativo: un collasso finale della Corea del Nord, la riunificazione in stile "tedesco", e alla fine una Grande Corea alleata degli Usa, con le truppe americane sul confine cinese. Questo rifiuto dello scenario-riunificazione resta sempre vero, ma Xi Jinping ha una visione imperiale più ambiziosa dei suoi predecessori. Sta sviluppando l'equivalente di quella che fu la "dottrina Monroe" ai tempi della prima ascesa degli Stati Uniti, quando Washington estese a tutte le Americhe la sua sfera d'influenza, opponendosi alle interferenze delle vecchie potenze europee. Xi Jinping si sta adoperando per disegnare una sfera d'influenza cinese, a cerchi concentrici. Ha cominciato con le manovre sempre più aggressive per affermare la sua sovranità (e creare basi militari) sulle isole contese con i vicini: Giappone, Filippine, Vietnam. Anche in spregio alla legalità internazionale, visto che un arbitrato ha condannato Pechino di recente. Xi ha un duro contenzioso con la Corea del Sud contro lo "scudo" missilistico americano. Un giorno riaprirà il dossier Taiwan. Fatto davvero inedito, ha aperto la prima base militare cinese in terre lontane, a Djibouti: un segnale che il grande piano infrastrutturale One Belt One Road, con cui Xi punta a integrare l'Eurasia fino al Mediterraneo, non ha solo una dimensione economica. La sfida all'egemonia americana è evidente. In quest'ottica di lungo periodo, può anche non dispiacere a Xi che la Corea del Nord sia un "dito nell'occhio" per lo Zio Sam. Tanto più che a Pechino si ascolta con curiosità il linguaggio neo-isolazionista di Donald Trump. Oltre a mettere in dubbio i doveri dell'America nella Nato, Trump di recente si è chiesto perché l'America debba proteggere paesi ricchi come il Giappone e la Corea del Sud, che avrebbero le risorse economiche per difendersi da soli. Se il folle avventurismo nucleare di Kim dovesse sfaldare il sistema di alleanze centrato sull'America, per Xi il bilancio non sarebbe in perdita.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In questo momento la Cina sta applicando una sorta di dottrina Monroe, estendendo la sua sfera di influenza in Asia

Federico Rampini 10 settembre 2016 sez.

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