(ANSA) - MILANO, 31 OTT - Dieci minuti di applausi a tutto il
cast, al regista David McVicar e soprattutto al direttore
Christophe Rousset sono stati la degna conclusione de La
Calisto, opera di Francesco Cavalli che alla Scala non era mai
stata rappresentata nei suoi 370 anni di vita.
Un'opera apprezzata dagli appassionati ma poco conosciuta dal
grande pubblico, che infatti ha lasciato più di qualche
biglietto invenduto senza sapere che si tratta di un'opera
capace di trappare qualche sorriso e di "sorprendere" come aveva
promesso in conferenza stampa il direttore Rousset.
Nella libera Venezia, dove Cavalli la compose nel 1651 per
l'intimo spazio del teatro Sant'Apollinare, la vicenda della
nifna di Diana di cui si invaghisce Giove, tanto da trasformarsi
nella dea della caccia per poterla sedurre, diventa anche
un'occcasione per fare un excursus dell'amore in senso lato:
quello bestiale e fisico (con i satiri che inseguono le ninfee),
quello saffico, quello matrimoniale (con la gelosia di Giunone
che trasforma Calisto per punizione in un'orsa) e quello
celeste, rappresentato dalla trasformazione di Calisto in una
stella, la stella dell'Orsa maggiore.
Rousset l'ha dovuta adattare musicalmente allo spazio della
Scala, ben più grande di quello di Sant'Apollinare, grazie alla
sua orchestra Les Talents Lyiques integrata con l'orchestra di
strumenti storici della Scala, con l'aggiunta di arpa, lirone,
organo, viole e il raddoppio degli archi rispetto all'originale.
O meglio rispetto all'unico, lacunoso spartito arrivato sino a
noi. Una sfida non solo musicale ma anche registica per riuscire
a rendere la libertà di costumi della Venezia seicentesca
mantenendo la delicatezza della figura di Calisto (interpretata
in modo armonioso da Chen Reiss). (ANSA).
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